Un cinghiale è per sempre...


Il fenomeno della rapida espansione delle popolazioni di cinghiale ha assunto in Europa particolare rilevanza. In Italia, negli ultimi trent'anni, l'areale di distribuzione della specie è aumentato sensibilmente permettendo al cinghiale di tornare ad occupare aree dalle quali era scomparso negli ultimi secoli. A partire dal dopoguerra sono stati immessi nel nostro Paese esemplari di cinghiale di taglia maggiore di origine centro-europea (esempio ungheresi, polacchi e cecoslovacchi) e si sono diffusi cinghiali allevati in promiscuità con la forma domestica, con lo scopo di ripopolare il territorio italiano. Ne consegue che il cinghiale oggi diffuso in Italia è il risultato di esemplari di origine alloctona e loro ibridazione con esemplari autoctoni e con maiali bradi e rinselvatichiti.

Le cause dell'espansione sono quindi da ricercare in primo luogo nelle numerose immissioni a fine venatorio e ripopolamenti operati in aree demaniali, al solo scopo di incrementare la fauna locale con ceppi alloctoni, molto prolifici.
Ruolo critico è svolto anche dall'assenza di una seria gestione della fauna nel nostro Paese che, unitamente alla mancanza di una strategia di interventi, ha reso la situazione preoccupante con una maggiore incidenza sul territorio, rispetto ad altre nazioni europee. In particolare, i fenomeni di danneggiamento a carico delle colture agricole e delle biocenosi naturali causate dalle popolazioni di cinghiale stanno diventando sempre più frequenti in gran parte d'Italia.

Tale situazione è ancor più aggravata, allo stato attuale, dalla mancanza di dati omogenei e completi sullo stato della popolazione del cinghiale in Italia e da una gestione faunistico venatoria fuori controllo. Non esiste infatti una banca dati unica sui capi abbattuti complessivamente, non esiste alcun blocco reale di nuove immissioni e non vi sono informazioni sull'operato degli ambiti territoriali di caccia in materia.
Il problema della presenza eccessiva di cinghiali è principalmente relativo ai danni arrecati direttamente ai sistemi agro-silvo-pastorali e alle altre specie animali e vegetali. Infatti, per la sua versatilità e per il suo caratteristico modo di cercare il cibo, il cinghiale spesso si comporta come una ruspa o una motozappa, rivolta il terreno, elimina bulbose e le piante del sottobosco, causano danni sia alla vegetazione spontanea forestale, sia alle colture agrarie.

La gestione delle popolazioni di cinghiale ha anche una relazione diretta con la conservazione della biodiversità e delle specie minacciate. La tutela delle specie selvatiche in pericolo d'estinzione prevede infatti anche la prevenzione contro le malattie infettive, che possono compromettere la sopravvivenza di piccole popolazioni, come quella dell'orso nell'Appennino centrale. La maggior parte delle malattie infettive è interspecifica ed una specie può essere serbatoio di patogeni per altre specie. Quindi dove si verifica la convivenza del cinghiale con specie minacciate va sicuramente attuato un serio monitoraggio sanitario delle malattie pericolose (esempio la Malattia di Aujesky, patologia tipica dei suidi, risulta molto pericolosa per tutti i carnivori), vanno gestite le eventuali positività, va intensificato il monitoraggio-sanitario e vanno identificate soluzioni gestionali che possano permettere la conservazione delle specie a rischio.


Occorre ricordare infine il rischio legato agli incidenti stradali per collisione con cinghiali e l'eventualità di aggressione nei confronti dell'uomo che, sebbene ad oggi sia rappresentata da casi isolati, può divenire in prospettiva un serio problema, come ricordano le recenti cronache.


Oltre ad una nostra risoluzione presentata, la Commissione agricoltura di cui sono membro con la risoluzione conclusiva n. 8-00085 approvata in data 29 ottobre 2014, ha impegnato il Governo:

1. ad intraprendere urgentemente, secondo il principio che la tutela ambientale debba comunque conciliarsi con l'esercizio dell'attività d'impresa, tutte le iniziative tecniche, organizzative e normative, sia in sede nazionale che in sede comunitaria, per contrastare e prevenire con efficacia il problema dei danni alle colture causati dalla fauna selvatica e in particolare i danni dovuti alla proliferazione dei suidi prevedendo una maggiore sinergia con le regioni e le province autonome e con l'Ispra;

2. ad istituire, mediante il concerto tra i Ministeri competenti, Ispra, le regioni e le province autonome, un osservatorio permanente in grado di censire con puntualità, certezza e per mezzo di comprovati parametri tecnici e scientifici, i danni provocati dalla fauna selvatica su tutto il territorio nazionale e ad avviare, nell'ambito delle proprie competenze e di intesa con le regioni e le province autonome, un monitoraggio nazionale sull'applicazione dell'articolo 10 della legge n. 157 del 1992, e in particolare del comma 8, lettera f), al fine di valutare oggettivamente se siano state messe in atto tutte le misure previste dalla legislazione nazionale in materia di risarcimento dei danni da fauna selvatica agli agricoltori e di assicurarsi che si raggiungano dei risultati omogenei sul territorio nazionale così da garantire, al contempo, la tutela della fauna selvatica e il diritto degli agricoltori di essere risarciti in tempi rapidi e certi;

3. a verificare l'attuazione e la dotazione del fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 24 della legge n. 157 del 1992 e a constatare se siano stati istituiti fondi regionali per il risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria, come previsto dall'articolo 26, cagionati delle specie animali indicate negli articoli 2 e 18 e a reperire risorse adeguate per risarcire gli agricoltori dai danni causati dalla fauna selvatica a partire dalla completa attuazione alle disposizioni contenute all'articolo 66, comma 14, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, citata in premessa;

4. ad assumere ogni possibile iniziativa normativa per scorporare il risarcimento o l'indennizzo per i danni di alcune specie selvatiche o inselvatichite e in particolare dei suidi, dalla quota massima (nell'arco di tre esercizi fiscali) prevista per gli aiuti delle aziende agricole rientranti nel regolamento de minimis;

5. a valutare la possibilità di promuovere bandi per la realizzazione e la manutenzione di strumenti di prevenzione a difesa dei comprensori o di singole proprietà, con le caratteristiche stabilite dall'Ispra o dagli enti di ricerca preposti e l'applicazione dei metodi non cruenti per il controllo della fertilità nonché ad attivare strumenti e risorse finanziarie per promuovere, da parte dei soggetti pubblici e privati interessati, una reale ed efficace azione di prevenzione e la promozione di azioni sperimentali;

6. a convocare quindi in tempi brevi un tavolo tematico di concertazione con le regioni e le province autonome sul problema dei danni causati dalla fauna selvatica;

7. ad assumere iniziative per vietare ogni ulteriore introduzione per fini venatori di esemplari di cinghiali su tutto il territorio nazionale, attuando o promuovendo azioni concrete per il recupero e la successiva reintroduzione, al termine dell'emergenza, dei suidi autoctoni italiani quali il Sus scrofa majori ed il Sus scrofa meridionalis;

8. ad adottare e promuovere, per quanto di competenza, tutte le misure necessarie per prevenire l'ibridazione con i suini allevati al pascolo e quindi iniziative per la regolamentazione di queste forme di allevamento;

9. a valutare la possibilità di assumere iniziative normative, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, volte ad introdurre una moratoria nei confronti dei debiti che i conduttori dei fondi hanno contratto nei riguardi della pubblica amministrazione e di tutti gli atti di pignoramento conseguenti, maturati a seguito del mancato reddito causato dal danneggiamento alle colture e ai ritardi degli indennizzi e risarcimenti dovuti;

10. ad assumere le opportune iniziative in sede europea al fine di riconoscere possibili indennizzi per i danni provocati all'agricoltura dalle specie selvatiche.

Dal rapporto Position Paper del Wwf Italia sul cinghiale del 9 settembre 2015 emerge che la situazione, dall'approvazione della risoluzione in Commissione agricoltura, non appare migliorata, al contrario, secondo le stime delle associazioni di categoria la percentuale di danneggiamento da parte dei suidi ha superato la soglia di tolleranza fissata al 4-5 per cento di perdita di prodotto, ingenerando un allarme sociale.
Tra le regioni più colpite c’è il Lazio, con circa tre milioni di euro di danni nel solo 2013, soprattutto nei comprensori di Amatrice, Vallepietra, Bracciano, nel reatino e nel viterbese, la Toscana dove quelli dei cinghiali rappresentano il 66 per cento dei danni, la Valle d'Aosta, il Piemonte, le Marche, la Calabria (nonostante diverse contraddizioni) ed il Molise.

Considerando queste criticità abbiamo interpellato il Ministro Martina chiedendogli "quali delle misure per le quali la Commissione agricoltura ha impegnato il Governo ad ottobre 2014 siano state intraprese e quali non abbiano ancora trovato attuazione e per quali ragioni" e "se non ritenga di dover adottare urgentemente tutte le iniziative non intraprese al fine di adempiere agli impegni assunti con la risoluzione conclusiva n. 8-00085 approvata in data 29 ottobre 2014.
Attendiamo ancora risposta da due anni...Ma non è finita qui!

LE NOVITA' NORMATIVE INTRODOTTE CON IL COLLEGATO AMBIENTALE


Nel frattempo arriva la legge n. 221 del 28 dicembre 2015 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali).
L’articolo 30, dispone le sanzioni penali per le violazioni delle disposizioni della legge n. 157 e delle leggi regionali. Alla lettera l), in particolare, si prevede l'arresto da due a sei mesi o l'ammenda da lire 1.000.000 a lire 4.000.000 (da euro 516 a euro 2.065) per chi pone in commercio o detiene, a tal fine, fauna selvatica in violazione della presente legge.

L'articolo 7 del nuovo collegato ambientale, dispone norme per il contenimento della diffusione del cinghiale nelle aree protette e vulnerabili e modifiche alla legge n. 157 del 1992.
In particolare il comma 3 dispone che «fermi restando i divieti di cui ai commi 1 e 2, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i piani faunisticovenatori di cui all'articolo 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, provvedendo alla individuazione, nel territorio di propria competenza, delle aree nelle quali, in relazione alla presenza o alla contiguità con aree naturali protette o con zone caratterizzate dalla localizzazione di produzioni agricole particolarmente vulnerabili, è fatto divieto di allevare e immettere la specie cinghiale (Sus scrofa)».

Il taxon Sus scrofa raggruppa numerose sottospecie tra queste molti cinghiali come il Sus scrofa scrofa (cinghiale centro-europeo), Sus scrofa majori (cinghiale dell'Italia centrale), Sus scrofa meridionalis (cinghiale sardo) e il maiale o suino domestico (Sus scrofa domesticus) e quindi, la norma vieterebbe di fatto anche l'allevamento e l'immissione dei comuni maiali domestici.
Attraverso un ordine del giorno abbiamo impegnato il Governo "ad individuare, con apposito atto normativo, l'elenco delle specie di cinghiale alloctone di cui è fatto espressamente divieto di allevamento e immissione per fini venatori su tutto il territorio nazionale, in accordo con gli enti di ricerca pubblici in primis l'ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale."

Si fa presente che il comma 3, rinviando alle regioni l’individuazione delle aree di propria competenza nelle quali è fatto divieto di allevare i cinghiali, andrebbe coordinato con il divieto, previsto dai commi 1 e 2, di immissione e foraggiamento dei cinghiali su tutto il territorio nazionale, escluse le Aziende faunistiche venatorie e le Aziende AgriTuristico Venatorie.

Inoltre, l'articolo 7, commi 1 e 2, in materia di divieto di immissione e foraggiamento dei cinghiali sul territorio nazionale prevede un'eccezione per le aziende faunistico-venatorie e agrituristico-venatorie, che potranno così allevare nonché foraggiare i cinghiali, senza che possa essere efficacemente assicurata una precisa delimitazione con le altre aree non recintate, con pericolo di invasione e danneggiamento dei terreni coltivati.
Tale eccezione potrebbe di fatto favorire il ripopolamento della specie anche fuori dai confini delle aziende suddette, anche se adeguatamente recintate, inficiando la bontà dell'obiettivo perseguito dall'articolo 7. Per questo motivo attraverso un altro ordine del giono abbiamo impegnato il Governo "a valutare gli effetti applicativi di questa legge al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a revocare la facoltà concessa alle aziende faunistico-venatorie ed alle aziende agrituristico-venatorie di poter allevare e foraggiare i cinghiali."

APPROFONDIMENTI SULLA LEGGE  N. 157
(Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.)


La materia relativa alle attività faunistico-venatorie è regolata, a livello nazionale, dalla nota legge 11 febbraio 1992, n. 157, contenente “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e successive modifiche e integrazioni.
Si tratta di una legge-quadro che recepisce alcune importanti direttive comunitarie, e precisamente la dir. 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, nonché la dir. 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici. Non va trascurato, inoltre che la legge citata costituisce attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503.

In tema di piani faunistico-venatori, l’articolo 10 della legge 157/1992 prevede che tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale sia soggetto a pianificazione faunistico-venatoria, finalizzata, per quanto riguarda le specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale, mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio.
La pianificazione viene attuata dalle regioni mediante destinazione differenziata del territorio nel modo che segue:

- zone di protezione della fauna selvatica, che rappresentino dal 20 al 30% del territorio agro-silvo-pastorale, dove la caccia deve essere vietata;
- aziende faunistico-venatorie (associazioni senza fini di lucro con obiettivi naturalistici), ovvero aziende agri-turistico-venatorie (imprese agricole destinate ad ospitare fauna) per la caccia riservata a gestione privata, su di una superficie massima del 15%;
- territori di caccia sul resto dello spazio considerato, nei quali le regioni devono incoraggiare la gestione programmata della caccia. Qui le regioni provvedono a delimitare gli ambiti territoriali di caccia su base subprovinciale, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.

Attraverso lo strumento dell'Ambito territoriale di caccia si realizza in concreto la programmazione dell'attività venatoria, per cui il regime della caccia programmata si caratterizza, quindi, per una predeterminata presenza di cacciatori legati al territorio e coinvolti nella sua gestione.

Ai sensi dell'articolo 14, della legge n. 157, il MIPAAF stabilisce con periodicità quinquennale, sulla base di dati censuari, l'indice di densità venatoria minima per ogni ambito territoriale di caccia (comma 3). Tale indice è costituito dal rapporto fra il numero dei cacciatori e il territorio agro-silvo-pastorale nazionale. Ogni cacciatore ha il diritto di accedere ad uno o più ambiti territoriali della provincia di residenza, nei limiti numerici posti dai regolamenti di attuazione dei piani faunisticovenatori.
Le province, sulla base degli orientamenti impartiti dall'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, predispongono tali piani, definendo le oasi di protezione destinate al rifugio alla protezione e alla sosta della fauna selvatica, le zone di ripopolamento e di cattura, le zone di addestramento per i cani, i luoghi destinati agli appostamenti fissi. I piani provinciali sono coordinati a livello regionale.

La domanda nasce spontanea: le province e le regioni hanno fatto il loro "dovere"?
Se siamo arrivati a parlare di emergenza cinghiali in molte zone del paese tanto da condurre un'indagine conoscitiva in Parlamento, sicuramente la risposta è NO! E la responsabilità è tutta della mala politica che negli anni ha generato cattivi amministratori che in complicità con le lobbies dei cacciatori, importante bacino di voti, o per la non corretta applicazione dei piani faunistico-venatori o semplicemente per non aver vigilato a sufficienza, hanno permesso l'irragionevole introduzione nel nostro ambiente di esemplari di cinghiali provenienti dal centro Europa.


Per il contenimento dei danni causati dai cinghiali ci sono numerosi metodi non cruenti, in primis la prevenzione che passa anche attraverso una corretta informazione dei cittadini. Non lo dice il Movimento 5 Stelle ma il mondo della ricerca scientifica che da almeno un quinquennio ha analizzato il fenomeno trovando soluzioni che mettessero d'accordo le esigenze delle attività umane e il rispetto degli animali (si vedano i documenti dell'ISPRA).
Stupisce come tutti questi studi pagati coi soldi dei contribuenti vengano puntualmente snobbati dalla politica che preferisce ogni volta seguire l'approccio demagogico del "partito delle doppiette" che non risolverebbe affatto il problema anzi lo aggraverebbe.
Purtroppo, dopo tre anni dall'approvazione della Risoluzione congiunta della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, il Governo e il Ministro dell'Agricoltura Martina non hanno fatto nulla per la prevenzione della proliferazione dei suidi e per il risarcimento dei danni ai cittadini, quindi la responsabilità degli ultimi gravissimi fatti di cronaca è di questo esecutivo per non parlare dell'inattività delle regioni.

LA SITUAZIONE NELLA REGIONE CALABRIA.

La legge quadro del 1992, come risulta dall’art. 1, comma 3, ha affidato alle Regioni a Statuto ordinario (come la Calabria), il compito di emanare norme relative alla gestione e tutela di tutte le specie della fauna selvatica.
Nella pianificazione faunistico-venatoria la Regione interviene in tre modi diversi, ai sensi dell’art. 10, comma 10, ovvero:

a) tramite il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 dello stesso art.10, secondo criteri dei quali l’Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce l’omogeneità e la congruenza, a norma dell’art. 11;
b) tramite l’esercizio dei poteri sostitutivi ove le Province non adempiano ai loro obblighi inerenti la pianificazione;
c) con la redazione del cd. piano faunistico Regionale di cui all’art. 10, comma 12, nonché di cui all’art. 14 della citata legge quadro n. 157/1992. Tale piano determina i criteri per l’individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.
In via eccezionale e ove ricorrano specifiche necessità ambientali, le Regioni possono disporre la costituzione coattiva di oasi di protezione e di zone di ripopolamento e cattura, e l’attuazione di piani di miglioramento ambientale di cui al comma 7° dell’art.10.

In particolare, la Regione Calabria è intervenuta con la Legge Regionale 17 maggio 1996, n. 9, contenente “Norme per la gestione e tutela della fauna selvatica e l’organizzazione del territorio ai fini della disciplina programmata dell’esercizio venatorio” (Legge Regionale n. 9/1996, come modificata dall’art. 47. comma 5 L.R. 14 luglio 2003, n. 10).
In quest’ambito, di particolare interesse è l’art. 5 che prevede che il territorio agro-silvo-pastorale regionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive delle loro popolazioni e, per le altre specie, al conseguimento delle densità ottimali ed alla loro conservazione, mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio.

Il piano faunistico-venatorio regionale è predisposto dalla Giunta regionale mediante il coordinamento dei piani faunistici-venatori provinciali. Il piano faunistico-venatorio regionale è approvato dal Consiglio regionale su proposta della Giunta regionale, sentita la Consulta Faunistica Venatoria Regionale. Il piano faunistico-venatorio regionale ha durata quinquennale e può essere aggiornato anche prima della scadenza su richiesta di una o più province se le situazioni ambientali e faunistiche sulla base delle quali è stato elaborato subiscano sensibili variazioni.

Attraverso la L.R. 30 maggio 2013, n. 26. è stato aggiunto il comma 4 bis che permette (a mio parere) in modo inappropriato e incostituzionale al piano faunistico-venatorio regionale, di conservare la propria efficacia anche dopo la scadenza del termine quinquennale sino all’approvazione del nuovo piano. Con questa modifica normativa la Regione Calabria non aggiorna il proprio piano dal 2003 incidendo in modo negativo proprio sui livelli minimi di tutela dell ambiente, materia riservata allo Stato.

Ciò consente alla Regione Calabria di non aggiornare il piano regionale e i piani provinciali anche secondo quanto previsto dal nuovo collegato ambientale, in particolare il comma 1 dell'articolo 7 che prevede il divieto di immissione di cinghiali su tutto il territorio nazionale, ad eccezione delle Aziende Faunistico Venatorie e delle Aziende AgriTuristico Venatorie adeguatamente recintate, mentre al comma 2 si prevede il divieto del foraggiamento di cinghiali, ad esclusione di quello finalizzato alle attività di controllo.
Per la violazione dei due divieti in esame, le due disposizioni prevedono la sanzione dell'art. 30, comma 1, lettera l) della Legge 157/92.
Inoltre, il comma 3 prevede che, fermo restando i divieti sopra esaminati al comma 1 e 2, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i piani faunistico-venatori previsti all'articolo 10 della legge 157/1992, individuando nel territorio di propria competenza le aree nelle quali, in relazione alla presenza o alla contiguità con aree naturali protette o con zone caratterizzate dalla localizzazione di produzioni agricole particolarmente vulnerabili, viene fatto divieto di allevare e introdurre la specie cinghiale (Sus scrofa).

Il piano faunistico-venatorio regionale risulta superato da troppi anni, anche alla luce dei recenti fenomeni naturali e umani che sono intervenuti a modificare lo stato dei luoghi e la presenza di tutta la fauna selvatica, come siccità, grossi incendi boschivi ed altro. Per garantire la tutela della biodiversità animale e vegetale occorre programmare le azioni da intraprendere, come ad esempio, la reale consistenza della specie e la diffusione nelle diverse aree del territorio, altrimenti, a differenza di quanto sostiene il Dipartimento Agricoltura della Regione, ogni decisione intrapresa risulterà vanificata.

Per questo motivo con un'interrogazione parlamentare ho chiesto al Ministro dell'Ambiente e dell'Agricoltura "se non ritenga opportuno intervenire per quanto di competenza affinché la Regione Calabria possa aggiornare il piano faunistico venatorio al fine di scongiurare l'emergenza cinghiali che sta arrecando ingenti danni alle coltivazioni ed evitando, al contempo, che l'inosservanza delle norme comunitarie possa comportare l'avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia con conseguente danno erariale."

Anche in questo caso attendiamo risposta, nel frattempo nonostante la siccità e i grossi incendi che hanno devastato soprattutto il patrimonio boschivo della regione, la caccia è già iniziata a tutto spiano e il problema cinghiale sembra servire solo per fare becera propaganda dai soliti partiti che hanno causato il problema. A nulla è servito il nostro appello attraverso una nostra lettera al Prefetto di Vibo Valentia, le istituzioni stanno a guardare come se fossero incantate dal fenomeno. Dopotutto anche un cinghiale è per sempre...


MATERIALE UTILE:
Biologia e gestione del cinghiale (Fonte ISPRA 1993)
- Linee guida per la gestione del cinghiale (Fonte ISPRA 2003)
Linee guida per la gestione del cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette (Fonte ISRPA 2001)
Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette - 2a edizione - (Fonte ISPRA 2010)

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