Il depuratore di Lamezia scarica in un sito d’interesse comunitario?


In Calabria esiste un problema di depurazione, troppo spesso carente o del tutto assente. Solo pochi giorni fa, il dirigente regionale Pallaria, nel corso di una intervista tv alla RAI Calabria, ha affermato che: in Calabria «siamo ancora all’anno zero» in fatto di depurazione. Nonostante siano stati spesi ben 900 milioni di euro in opere tampone, non si assiste ancora alla realizzazione di quegli interventi strutturali, cui peraltro siamo obbligati per via della procedura di infrazione comunitaria del 2004 e della relativa sentenza di condanna della Corte di giustizia europea del 2007 (Causa C-135/05).

Nel piano d'ambito della regione, si legge che, su 409 comuni calabresi, esistono 765 impianti di depurazione censiti. Di questi, ben il 13 per cento «richiede adeguamenti tecnologici». Inoltre, ben 29 comuni «risultano sprovvisti di impianti per il trattamento di acque reflue», mentre 18 agglomerati urbani sono oggetto della citata infrazione. Per quanto riguarda invece i collettori, esiste una rete di 597 chilometri, con un'età media di 20 anni, e occorre realizzare ulteriori 893 chilometri di condotte per adeguare la realtà calabrese alla normativa prevista dal decreto legislativo n. 152 del 1999. In totale, è stato calcolato che la spesa per gli interventi necessari al mantenimento e la realizzazione delle nuove condotte è di circa 326 milioni di euro. Si ha dunque una rete vecchia, complicata da gestire (fatta di pozzi di sollevamento, condotte sottomarine), ma soprattutto fragile e costosa (se si considera che basta un blocco elettrico o una mareggiata per mandarli in tilt), e questi costi vengono traslati sui contribuenti che già oggi si vedono addebitare costi elevati per un servizio pessimo.

L'attenzione pubblica è concentrata sugli scarichi illegali e finora poco o nulla si è detto sulla presenza di scarichi legali, autorizzati ma con livelli non compatibili con la presenza di aree naturalisticamente sensibili o protette: questo è il caso del canale di scolo del depuratore di Lamezia Terme (CZ) che attraversa, in maniera evidente il Sito di interesse comunitario (SIC IT9330089) «Dune dell'Angitola» prima di sfociare in mare, ed è ubicato all'interno di un'area già dichiarata dalla regione Calabria ad «alta vulnerabilità da nitrati» e ad «alta vulnerabilità degli acquiferi». Il canale di scolo dell'impianto di Lamezia Terme che è tarato per più di 100.000 abitanti equivalenti (fonte Asicat) – non risulta segnalato in maniera chiara né nella cartografia ufficiale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, né in quella della regione Calabria; inoltre in base ai limiti di legge per fosforo totale e azoto totale, nell'area in questione questi dovrebbero essere rispettivamente minori o uguali a 1 mg/l e minori o uguali a 10 mg/l.


Considerata l'interferenza ecologica del depuratore sul confinante sito Sic «dune dell'Angitola», a norma del decreto legislativo n. 152 del 2006 il depuratore dovrebbe attenersi ai valori limite disposti dalla tabella 2 dell'allegato 5 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, ed invece sorprendentemente l'impianto è autorizzato dalla provincia di Catanzaro ad attenersi alla tabella 1 e alla tabella 3.

Al ministro dell'ambiente Galletti attraverso un'interrogazione parlamentare ho chiesto: "per quale motivo il canale di scolo dell'impianto di Lamezia Terme non risulti segnalato in maniera chiara nella cartografia ufficiale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e come ciò si concili con le prescrizioni imposte dalla direttiva 56/2008" e "quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, per garantire la tutela di un'area che si trova all'interno del perimetro del Sito di interesse comunitario «Dune dell'Angitola», per il quale valgono gli obblighi previsti dalla Direttiva «Habitat» e che potrebbe essere danneggiata dalle presenza di acque reflue provenienti dal depuratore di cui in premessa."

Commenti